Abiti realizzati con tessuti di scarto, artisti e designer da Cuba, Spagna e Lituania. Il racconto di una moda che guarda oltre, oltre i confini, oltre il consumismo di massa, verso la sostenibilità, l’inclusione e l’economia circolare.
Siamo a Torino, città che tra la seconda metà dell’800 e i primi del ‘900, è stata capitale della moda italiana. Una città che pullulava di piccole sartorie e grandi atelier.
Oggi, grazie all’impegno e alla costanza di Claudio Azzolini, fondatore e organizzatore dell’evento, è ancora sotto i riflettori con la Torino Fashion Week. E’ stato proprio lui, infatti, a dar vita dieci anni fa, a questa manifestazione internazionale e indipendente, dove artisti emergenti, giovani stilisti e piccole e medie imprese di moda trovano la loro dimensione.

Torino fashion week, palcoscenico dell’innovazione
Ambizione e opportunità si incontrano alla Torino Fashion Week per portare, racconta Claudio, “ Torino nel mondo e il mondo a Torino”.
Con il patrocinio di Cna, Federmoda, Camera di Commercio di Torino, e con il contributo di una Banca di Credito Cooperativo, Banca di Cherasco, la Torino Fashion Week è diventato un appuntamento d’eccezione, anche grazie al progetto collaterale B2B Torino Fashion Match, reso possibile con il supporto di Unioncamere Piemonte, membro dell’Enterprise Europe Network, il più importante network europeo per l’innovazione e lo sviluppo delle imprese.
“E’ stata dura”, ci racconta Claudio. “Inizialmente mi diedero del folle, poi è andata in modo completamente diverso. Fin dalla prima edizione abbiamo creduto nella forza degli stilisti emergenti unito a incontri dedicati al B2B per create nuove opportunità per tutti gli attori della filiera. Sono stati anni di sana follia, dove abbiamo sperimentato e osato”.
Ora questa manifestazione è un vero e proprio palcoscenico dove il talento emergente e l’esperienza si fondono per creare vera magia.
Protagonista la sostenibilità
Insieme agli stilisti emergenti della moda torinese e a designer e artisti internazionali, protagonista dell’edizione 2024 (che si è svolta a fine giugno) è stata proprio la sostenibilità, la moda slow fashion, che nasce in armonia con il territorio, rispettando il lavoro di chi produce, l’ambiente, le comunità locali, i cittadini-consumatori.
Perché, come ci dice Claudio, una “moda sostenibile è possibile”. “Non si può non guardare alla sostenibilità, il mondo si muove, evolve. Un cambiamento nel settore della moda è già in atto e i fashion designer si stanno mettendo in gioco per percorrere queste nuove strade. Allo stesso tempo, anche il pubblico va sensibilizzato presentando proprio queste novità, che tanto spazio trovano tra gli artisti emergenti”.

Ed ecco allora che sulla passerella del centro Green Pea, definita a Torino proprio la “casa della sostenibilità”, hanno sfilato i capi di Joyce Canova, di origine indiana, che con il brand An-Joy crea abiti genderless e senza taglia per enfatizzarne l’inclusività, in una ricerca continua verso tessuti eco sostenibili; le divise da lavoro della West Rose di Orbassano, realizzate completamente con tessuto poliestere riciclato. Oppure le realizzazioni Soho di Daniela Bosco, un marchio che fa della sostenibilità il proprio punto di forza e i suoi outfit, dallo sportswear sostenibile del brand Old and Fast allo streetwear ricercato di Essemme Studio. Questi ultimi tre premiati da Green Pea con esposizione presso lo store.

Nella moda, come in tanti altri settori, però “sostenibilità” è un concetto complesso, che può cambiare, che può essere guardato da diversi punti di vista. “Bisogna rendersi conto – ripete Claudio – che la strada verso la sostenibilità non è così facile da seguire. Il costo di un prodotto “sostenibile” è molto elevato e non basta solo convincere il consumatore ad essere responsabile, bisogna avere dei mezzi adeguati per provare a cambiare”. Sono i principi che molti fashion designer provano a portare avanti da anni, scontrandosi invece con grandi brand internazionali che guardano alla sostenibilità, con capi che alla fine si presentano solo come nuovi prodotti del fast fashion internazionale.
“È una scommessa difficile. C’è bisogno ancora di un passo in più, non solo tra gli stilisti o tra i consumatori: tutta la filiera deve guardare al cambiamento”.
Una scelta inizialmente folle, ma vincente
La Torino Fashion Week “non è Milano”, sottolinea più volte Claudio. Forse è vero. E’ qualcosa di più.
“Ho iniziato – ci racconta – perché mi ero accordo della mancanza di visibilità verso tutto ciò che definiamo emergente. Mi diedero del folle, ma ero convinto che il mondo stesse andando verso una nuova direzione. L’emergente sarebbe stato il futuro… E così è cominciata”.
“Siamo stati i primi in Italia a ospitare la moda islamica, africana e ucraina in passerella. Fin dalla prima edizione abbiamo creduto nella forza degli stilisti emergenti unito a incontri dedicati al B2B per create nuove opportunità per tutti gli attori della filiera”.

Da nove anni il sostegno della Banca di Cherasco
Con la sua vocazione internazionale e l’attenzione ai talenti locali e nazionali, la Torino Fashion Week si è confermata nel tempo una vetrina strategica a livello nazionale.
“Il nostro – ci spiega Claudio – è un evento indipendente, non riceviamo fondi, ma ci appoggiamo a diverse sponsorizzazioni, che però inevitabilmente, cambiano negli anni. Ecco perché, oltre alla stretta collaborazione con Cna, Federmoda, Camera di Commercio e Unioncamere, per noi il sostegno della Banca di Cherasco ha un enorme valore”.

La banca sostiene la manifestazione fin dall’inizio. “Una banca dal volto umano”, la descrive. “Ogni anno ci hanno dato sostegno, dimostrando questa grande attenzione al territorio e alla comunità. E’ importante sapere di poter contare su un istituto di credito che crede in determinati valori, soprattutto che crede nelle persone. Ora ci prepariamo a realizzare insieme anche l’edizione 2025”.
Nel 2024, la banca ha realizzato e sostenuto molte iniziative e progetti che mettevano al centro la sostenibilità e le tematiche Esg. Con la Torino Fashion Week di quest’anno non poteva essere diverso, proprio per la sua “attenzione ad una visione sostenibile della moda e all’economia circolare”.