Con la sentenza n. 116 del 2025, la Corte Costituzionale (redattore il prof. Luca Antonini, vicepresidente della Consulta) ha dichiarato parzialmente illegittimo l’art. 12, comma 3 del D.Lgs. n. 220/2002 nella parte in cui prevedeva lo scioglimento automatico delle cooperative che si sottraevano formalmente alla vigilanza ministeriale. Con tale sentenza, la Corte riconosce alla Cooperazione un valore costituzionale intrinseco, riaffermando che essa è un modello d’impresa con caratteristiche proprie, parte integrante del pluralismo economico sancito dagli articoli 41 e 45 della Costituzione. La decisione si colloca nel solco di una giurisprudenza che recupera la dimensione partecipativa e comunitaria dell’economia, restituendo centralità a mutualità, democraticità e sussidiarietà, principi costitutivi dell’impresa cooperativa.

Giudici Costituzionali al Palazzo della Consulta durante udienza pubblica, Roma 25 Febbraio 2025. ANSA/GIUSEPPE LAMI

Il contesto normativo di riferimento

Il D.Lgs. n. 220/2002 disciplina la vigilanza sulle cooperative, presidio fondamentale che trova le proprie basi nell’art. 45 della Costituzione. L’art. 12, comma 3, del già menzionato decreto legislativo consentiva di sciogliere d’ufficio le cooperative che “si sottraggono alla vigilanza”, anche solo per mancata risposta a una richiesta di informazioni. Nella prassi, bastava una comunicazione via PEC ignorata o non recapitata per far scattare la cancellazione dal registro e la devoluzione coattiva del patrimonio ai fondi mutualistici. La Corte costituzionale, accogliendo la questione di legittimità, ha dichiarato incostituzionale la norma nella parte in cui non distingue tra inadempimenti formali e sostanziali, riaffermando che il potere di vigilanza deve essere esercitato in modo proporzionato, graduato e motivato. La vigilanza deve essere “sussidiaria” e non punitiva, dovendo tendere ad accompagnare e correggere, prima che a reprimere.

Una sentenza di valore sistemico

La Corte non si è limitata a censurare l’eccesso di automatismo amministrativo che portava allo scioglimento automatico delle cooperative ma ha colto l’occasione della sentenza relativa a una questione procedurale per fornire un rilevante pronunciamento di principio. Sotto la lente della Consulta, la Cooperazione si rivela non come una categoria residuale dell’impresa ma come una forma organizzativa autonoma, radicata nella Costituzione, capace di unire libertà economica e coesione sociale. La decisione si inserisce in un percorso giurisprudenziale che, già avviato con la sentenza n. 408/1989, ha progressivamente valorizzato la funzione sociale della Cooperazione, costituzionalmente sancita, quale componente economica e sociale essenziale del Paese, generativa di ricchezza, anche intergenerazionale, e di coesione sociale. Con la pronuncia in esame, la Corte ha compiuto un salto qualitativo elevando la Cooperazione a presidio costituzionale del pluralismo economico, chiarendo che il suo riconoscimento non è solo meramente dichiarativo ma vincolante per il Legislatore, il quale deve promuoverla e tutelarla con strumenti proporzionati e coerenti con la sua natura mutualistica. Pertanto, l’intervento della Consulta non si limita a correggere una sproporzione formale ma riafferma un principio sostanziale, secondo cui la tutela dell’interesse pubblico non può comprimere la dimensione economica e sociale dell’impresa cooperativa.

L’articolo 45 della Costituzione, architrave del pluralismo economico

Il cuore della sentenza è la valorizzazione dell’art. 45 della Costituzione, che riconosce la funzione sociale della Cooperazione a carattere di mutualità e senza fini di speculazione privata. La Corte spiega che questa disposizione non è un corollario degli articoli 41 e 43 della Carta costituzionale, ma una clausola autonoma della Costituzione economica, che completa la visione pluralistica dell’ordinamento. Mentre l’art. 41 pone limiti all’iniziativa privata in nome dell’utilità sociale, l’art. 45 attribuisce alla Cooperazione una funzione sociale costitutiva: non un vincolo esterno, ma l’essenza stessa del modello cooperativo. È una distinzione fondamentale: la Cooperazione non nasce in contrapposizione all’economia di mercato, ma concorre a “umanizzarla” consentendo il perseguimento del beneficio comune dei partecipanti, in ottica di reciprocità.

La funzione sociale: mutualità, sussidiarietà e democrazia economica

La Corte individua tre pilastri della Cooperazione: mutualità, sussidiarietà e democraticità. La mutualità costituisce il fondamento: la cooperativa misura il proprio successo non (solo) in base al profitto generato ma (essenzialmente) dal beneficio reciproco dei soci e dello sviluppo della comunità in cui opera. La sussidiarietà orizzontale, sancita dall’art. 118, comma 4, della Costituzione, è il principio che lega la Cooperazione all’autonoma iniziativa dei cittadini per il bene comune. In questa prospettiva, la Cooperazione diventa una forma organizzata della cittadinanza attiva economica. Vale la pena di aggiungere che la Cooperazione consente di realizzare anche il precetto del secondo comma dell’articolo 3 della Costituzione, in base al quale – in ottica di eguaglianza – è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di carattere economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese. La complessità odierna spesso crea diseguaglianze latenti – dovute anche a disequilibri della dimensione sociale ed economica dei territori del Paese – che spesso si tramutano in diseguaglianze di fatto.

In questa prospettiva, la Cooperazione può essere un’utile esperienza volta a favorire la rimozione degli “ostacoli” che il citato articolo 3 tende a contrastare. La democraticità, infine, della governance realizza concretamente la partecipazione: “una testa, un voto”, principio che traduce in economia il valore “politico” della partecipazione attiva dei cittadini.

La Cooperazione quale esperienza di Economia Civile

Un passaggio della sentenza merita particolare attenzione: il richiamo – seppur solo accennato e che richiede ulteriori sviluppi nel contesto ordinamentale – all’Economia Civile. Infatti, la Corte afferma: “l’impresa cooperativa, ascrivibile all’ambito dell’Economia Civile, rappresenta infatti una forma avanzata di impresa anche in sistemi socialmente evoluti”. Si tratta di una presa di posizione culturale oltre che giuridica: la Cooperazione non è un ibrido fra “profit” e “non profit”, ma una forma integrale di economia relazionale, che tiene insieme economicità, efficacia, efficienza e mutualità, reciprocità, fiducia, nel perseguimento del bene comune. Questo orientamento dialoga con il Piano europeo per l’Economia sociale di imminente attuazione nel nostro Paese, che riconosce alle cooperative un ruolo decisivo nella transizione verde, digitale e solidale. La Corte richiama altresì la differenza tra l’impresa cooperativa e la società benefit: mentre quest’ultima aggiunge al profitto finalità di beneficio comune, la cooperativa integra strutturalmente valore economico e valore sociale, rappresentando, appunto, una forma avanzata di Economia Civile.

La Cooperazione come diritto costituzionale vivente

Dalla sentenza emerge come la Corte ritenga che la Cooperazione sia un diritto costituzionale vivente, che continua a produrre effetti nel tempo, adattandosi ai mutamenti dell’economia e della società. Sciogliere una cooperativa – osserva la Consulta – significa interrompere una storia collettiva, fondata su persone, legami di comunità, solidarietà contemporanea e intergenerazionale. In questo senso, la Cooperazione è parte dell’infrastruttura sociale ed economica del Paese: un tessuto che tiene insieme impresa e comunità, lavoro e cittadinanza attiva. Pertanto, l’intervento pubblico, in tali casi, deve essere proporzionato e motivato, non fondato su automatismi. Dunque, un bene costituzionale: un elemento strutturale dell’ordinamento che la Repubblica è tenuta a promuovere e favorire “con i mezzi più idonei”. In tal modo, la Corte riafferma che il pluralismo economico richiede strumenti giuridici differenziati, idonei a rispettare le specificità organizzative e i valori sociali che la Cooperazione incarna.

La Corte segnala anche il rischio di chilling effect (traducibile con “effetto dissuasivo”) derivante da politiche legislative eccessivamente punitive, che possono scoraggiare l’esercizio di una libertà economica a rilevanza costituzionale e lancia un monito al Legislatore affinché tuteli la Cooperazione. Dalla sentenza in esame, si può ritrarre che la Cooperazione, tra cui quella di credito, non è una deroga a un “ordinario” sistema economico, ma una sua espressione costituzionale, fondata sulla mutualità e, quindi, sulla fiducia e sulla prossimità. In questa prospettiva, la Cooperazione non è un’anomalia da tollerare, ma una forma costituzionalmente privilegiata di impresa, un modello partecipativo e solidale che, pur evolvendosi, rimane fedele alla propria missione originaria.

Per la Cooperazione, anche per il Credito Cooperativo, la pronuncia rappresenta un riconoscimento e una responsabilità. Essere portatori di una cultura economica solidale, partecipativa e costituzionalmente fondata che (non solo resiste all’evoluzione dei tempi ma) orienta l’evoluzione del diritto. Le Banche di Credito Cooperativo, le Casse Rurali e le Raiffeisen italiane incarnano da oltre 130 anni molti principi costituzionali contenuti non solo nell’art. 45 citato: funzione sociale del credito, tutela del risparmio, radicamento e valorizzazione territoriale, mutualità prevalente, partecipazione democratica dei soci.

Anche per il sistema del Credito Cooperativo, quindi, la decisione assume un rilievo particolare, riconoscendone, grazie alle proprie caratteristiche, la rilevanza ai fini della concreta realizzazione della funzione sociale dell’art. 45, in quanto promotore di sviluppo locale, inclusione finanziaria e coesione comunitaria.

Il messaggio della Consulta

La sentenza n. 116 del 2025 non è solo un atto di giustizia costituzionale ma una significativa presa di posizione che costituisce un monito anche per il Legislatore ordinario. La Consulta ha sottolineato che la Cooperazione costituisce un’istituzione del pluralismo e del bene comune, capace di coniugare funzione sociale ed economica e ha sottolineato la piena attualità all’art. 45, ricordando che la promozione della Cooperazione non è un favore ma un dovere della Repubblica. La Cooperazione evolve e orienta il cambiamento socio-economico del Paese, garantendo il pluralismo economico e tendendo allo sviluppo sociale. È questo il forte messaggio che la Consulta affida al Legislatore e alle istituzioni, rappresentando che l’attuale legislazione stenta a favorire realmente “l’incremento” della Cooperazione “con i mezzi più idonei”, secondo il mandato dell’art. 45 che, invece, andrebbe pienamente attuato. Ma è anche un messaggio alla Cooperazione, chiamata a rinnovare ogni giorno la propria funzione costituzionale nel servizio al bene comune.

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